Inutile girarci intorno, Dall’uscita del primo trailer, nel 2017, Death Stranding ha catalizzato l’attenzione dei videogiocatori di tutto il mondo. E non si tratta del classico hype per l’uscita di un titolo del maestro giapponese, ma qualcosa in più.
Siamo infatti di fronte alla prima produzione al di fuori di Konami e non un seguito del suo più grande classico: Metal Gear, diventato successivamente “solid” con l’avvento del 3D. Ma se il video rilasciato nel 2017 era essenzialmente una versione “cinematica”, quello visto all’E3 di quest’anno ha fatto intravedere qualcosa anche dal punto di vista del gameplay.
Chi è Hideo Kojima
Facciamo però un passo indietro per capire Kojima e la sua idea di videogioco. Hideo nasce a Tokio nel 1963 e sviluppa fin da subito una passione per il cinema e la letteratura, due tra i più grandi media dedicati alla narrazione. Il suo primo gioco (dopo essere approdato in Konami nel 1986) lo sviluppa nel 1987 e nemmeno a dirlo si chiama Metal Gear. Ma è nel 1988 che comincia la sua opera narrativa con l’avventura grafica Snatcher. Anche in questo caso nel gioco troveremo un Metal Gear, ma si tratta del robot protagonista nell’avventura. Purtroppo, a causa delle tempistiche, Snatcher esce in versione “tagliata” e privo del finale complesso ideato da Kojima. Sì, perché il giovane Hideo è anche uno scrittore prolifico, tanto che le sue opere letterarie vengono rifiutate perché troppo lunghe e complesse.
Il 70% del mio corpo è fatto di cinema
«僕の体の70%は映画でできている.»
«Il 70% del mio corpo è fatto di cinema.» (Hideo Kojima)
Bisogna partire da questa affermazione per capire la passione per il cinema che abbiamo potuto ammirare in alcuni dei suoi capolavori. A differenza però di David Cage (Heavy Rain, Beyond Two Souls, Fahrenheit ) che cerca di fondere i due media creando un prodotto unico, Kojima predilige un approccio più classico, forse legato alla sua passione per i giochi arcade. Non è infatti un mistero che Hideo consideri Mario Bros come un vero e proprio “Big Bang” nella storia dei videgiochi. Da qui lo sviluppo di giochi dal taglio classico come il primo Metal Gear, per sconfinare nelle avventure grafiche, che permettono un livello di narrazione più ampio come il già citato Snatcher o il successivo Policenauts pubblicato nel 1994.
A mio modesto avviso, però, l’opera più matura è senza dubbio Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, dove Kojima riesce a fondere con maestria la sua anima prettamente videoludica (non dimentichiamoci che ha inventato il genere stealth Game) con la passione per il cinema, regalandoci un gameplay vario e appagante, condito con Boss di fine livello eccezionali (altro suo grande marchio di fabbrica) e una serie di sequenze cinematografiche che spingono a finire il gioco anche solo per la storia.
Death Stranding: il rischio
Partendo da questa generosa introduzione, possiamo finalmente concentrarci su Death Stranding, un titolo che segna una svolta epocale. Per la prima volta nella sua carriera Kojima può finalmente abbandonarsi al suo genio narrativo senza il freno al mano del publisher. Chi conosce i videogiochi sa però che è anche una grande responsabilità. Il publisher rappresenta infatti l’anima concreta, lo scendere a patti con i tempi e con il budget pur di dare forma al progetto. Ma non solo. È la voce della coscienza, che riporta alla realtà i sognatori in cerca del Sacro Graal dei videogiochi: il titolo perfetto, che spesso si tramuta nel più classico dei Vaporware.
Nelle poche scene abbiamo potuto intravedere, ci siamo comunque fatti un’idea della direzione che prenderà il gioco. Ovviamente ci siamo anche basati sulle parole di Kojima che, tra un tweet e l’altro, ha disseminato diversi indizi…

“Le persone hanno costruito ‘mura’ e si sono abituate a vivere nell’isolamento. Death Stranding è un videogioco action di un genere completamente nuovo, uno in cui l’obiettivo del protagonista è ‘riconnettere’ città isolate e ricomporre una società frammentata. Tutti gli elementi, inclusi la storia ed il gameplay, trovano un punto in comune nel tema della connessione, del legame. Nel ruolo di Sam Porter Bridges tenterete di colmare queste divisioni, creando legami con giocatori di tutto il mondo. La mia speranza è proprio che, giocando Death Stranding, tutti capiscano l’importanza del forgiare nuovi legami“.
Basta dunque osservare il trailer, o conoscere la storia di Kojima, per avere la certezza che Death Stranding non sarà un film interattivo alla David Cage. Non è nelle sue corde e non sprecherà il suo momento di “libertà” per un qualcosa che non gli appartiene, nonostante il suo amore per il cinema. Nemmeno la presenza di attori famosi come Norman Reedus, Mads Mikkelsen, Léa Seydoux e Lindsay Wagner (la mitica donna bionica degli anni ’80) deve trarre in inganno. Con Death Stranding emergerà il Kojima narratore che non cerca solo di intrattenere ma anche di stimolare le coscienze. La “connessione” videoludica diventa così un pretesto per forgiare nuovi legami e avvicinare le persone.
Ma come verrà implementato nel gioco? la mia idea è che Kojima incoraggerà la cooperazione tra giocatori un po’ come avviene in Dark. Souls II. Non tramite chat diretta dunque, che comprometterebbe l’esperienza videoludica, ma con messaggi lasciati in game, visti di volta in volta da giocatori differenti. Connessioni dunque, legami, ma sempre diversi. Essere in connessione non significa scegliere gli amici, quello già lo facciamo, ma sforzarsi di essere amici con tutti. Anche i nemici potrebbero, per lo stesso principio, sbucare dall’on-line.

Insomma, da Kojima mi aspetto un titolo epocale. Fino ad ora nessuno aveva avuto l’ambizione di miscelare un concept cinematografico con elementi stealth e multiplayer. Ma soprattutto mi aspetto un messaggio. Un’esperienza che non sia non solo ludica ma anche didattica, qualcosa che getti il seme del cambiamento nelle persone. Il titolo Death Stranding (che si riferisce al fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei) non è casuale e fa pensare ai cambiamenti climatici, e alla necessità di cambiare le nostre abitudini di vita se vogliamo salvare il pianeta. Un messaggio di speranza ma anche un invito a fare qualcosa, a non rimanere isolati. Connessioni, appunto.